Se la violenza esplode come una stella

La recensione di Nova, libro di Fabio Bacà che indaga un tratto dimenticato della natura umana

di Federica De Lillis

a cura di zetaluiss.it

 

«La violenza è un potere ambiguo, che ha bisogno di essere controllato: se non lo domini, dominerà te. E non puoi controllare qualcosa che neghi a priori».

Nova è il secondo libro di Fabio Bacà, edito da Adelphi nel 2021 e inserito tra i dodici candidati al Premio Strega. Con una narrazione scorrevole e vivace, che riproduce in modo realistico le conversazioni quotidiane e i rituali mattutini della famiglia Ricci, Bacà ricostruisce la vita, gli interrogativi e i pensieri di persone qualsiasi. È nello scorrere di esistenze del tutto ordinarie che si nasconde l’inquietante scoperta della violenza, pronta a far saltare gli argini della razionalità quando meno ce lo aspettiamo. Davide Ricci è un neurochirurgo, vice primario all’ospedale Campo di Marte di Lucca, ha una carriera brillante e tutte le mattine si sveglia presto per fare colazione con la moglie Barbara, il figlio sedicenne Tommaso, accompagnati dai loro due gatti Epaminonda e Kociss e Fred Flintstone, l’allegro cagnolino di casa Ricci.

«Il suo personaggio rappresenta tutti noi – dice l’autore – brave persone che cercano di fare il meglio che possono ma si rendono conto che spesso le risorse che hanno non sono adeguate. In quel momento inizia la loro ricerca». Nel romanzo dalla struttura circolare, che presenta episodi dai tratti in parte autobiografici, Bacà trasporta il lettore in un incubo quotidiano, caratterizzato da un crescendo di tensione che si condensa in un episodio, snodo fondamentale da cui prende avvio il cammino interiore di Davide. Accade tutto in un ristorante, dove la moglie e il figlio vengono molestati da un ubriaco, sotto il suo sguardo inerme e impaurito di lui che resta immobile, pietrificato dalla sua stessa incapacità di intervenire. Barbara e Tommaso vengono soccorsi da un misterioso sconosciuto. Messo alle strette dalla moglie, Davide cercherà una giustificazione che suona più come un’autoassoluzione: «Sai bene che odio ogni forma di violenza».

L’episodio del ristorante corrisponde anche al primo incontro con Diego, l’oscuro soccorritore. Rivelerà presto di essere un monaco che pratica lo Zen, in giapponese “pensare”, “meditare”, “riflettere”. Si scoprono in seguito le sue origini, anche se la sensazione è che il personaggio resti sempre avvolto da un alone di mistero, che si introduce nella storia in modo improvviso e inspiegabile, come un deus ex machina chiamato a guidare Davide nel suo percorso di disvelamento delle zone d’ombra dell’animo umano.

L’incontro con lui rappresenta un momento di svolta nella vita del neurochirurgo, uomo mite che aveva sempre pensato che le sfumature dell’umano fossero tutte «sovrintese da una fondamentale disposizione al bene»; grande conoscitore delle alchimie che regolano il cervello umano ma che si scoprirà ignaro della potenza distruttiva che in esso si nasconde. Sarà Diego a metterlo davanti al dilemma centrale di tutto il romanzo: dominare la violenza o farsi dominare? Accettare questo tratto primordiale dentro di sé o rinnegarlo, lasciando che fermenti fino all’esplosione incontrollata e irrazionale?

Davide, sulle orme del suo maestro, si trasforma in un giustiziere capace di misurare la “Potenza” e di utilizzarla solo quando necessario. Il cambiamento sconvolge Barbara che si fa portatrice dello sgomento tipico del mondo civilizzato davanti all’uso della forza bruta: «L’uomo che ho sposato è una persona dolce e buona, che ripudia ogni forma di violenza». Alle proteste Davide opporrà in seguito la lucida affermazione di una soggettività nuova: «Ora ho capito che non esiste tempo più sprecato di quello passato a stupirsi dell’aggressività altrui. L’unico modo di inceppare il meccanismo banale e ripetitivo della follia umana è accettare quello che siamo, Barbara. E io avevo semplicemente paura di essere ciò che sono».

Nova è un romanzo che erompe tutto nelle ultime pagine, in cui si scopre una storia nella storia, quella speculare dell’adolescente Tommaso, che compie lo stesso cammino del padre ma, a differenza sua, approda all’obiettivo in modo istintivo e immediato; e di un altro personaggio che non ha saputo (o potuto) dominare la naturale propensione alla brutalità e l’ha vista tornare indietro come un boomerang, metafora di tutto il racconto. «All’inizio non avevo ben chiaro neanche io cosa significasse quel piccolo strumento di legno che avevo inserito in maniera naturale, senza pensarci – confessa Bacà -. Sono i lettori che me ne hanno fatto notare la grande portata simbolica». Sarà il suo proprietario a sprigionare tutta la potenza annientatrice di una stella che esplode ma, continua l’autore, «a differenza di una super nova che sprigiona una potenza tale da autodistruggersi, la detonazione finale assomiglia più a quella di una nova che assorbe l’idrogeno del corpo celeste che le si trova accanto, per poi rilasciare una violenza che annienta tutto, tranne sé stessa».

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