L’autore espone, con piglio critico e scrupoloso, le definizioni di povertà e ricchezza secondo varie gradazioni o intensità. La trattazione pullula di fonti bibliografiche e di dati a supporto delle conclusioni raggiunte.
Ritengo che la brillantissima dissertazione offra all’attenzione dei lettori due direttrici di pensiero di estremo interesse e foriere di ulteriori sviluppi. L’autore affronta le conseguenze negative derivanti dalla povertà e dall’indigenza, che travalicano l’aspetto strettamente economico e investono gli equilibri sociali. È doveroso, da parte della politica, cercare di avviare un processo di inclusione sociale di chi vive ai margini della società.
L’economia e la società non possono permettersi di escludere una quota, purtroppo, sempre più rilevante della popolazione. Gli effetti positivi consisterebbero in un potenziamento della forza lavoro; tra chi ne è escluso potrebbero esservi talenti inespressi e inesplorati, che devono essere reintrodotti nel circuito economico. La disoccupazione è, inoltre, fenomeno ad ampio spettro le cui propagazioni si estendono dall’ambito economico per sfociare in quello sociale. Chi si sente escluso dal mercato del lavoro tende a vivere frustrato, patisce notevolmente la sua condizione di isolamento.
Il malessere covato per periodi più o meno lunghi potrebbe trovare una valvola di sfogo in movimenti politici ribellisti, che sovente si oppongono all’assetto democratico. Il contrasto delle disuguaglianze, pertanto, assume importanza centrale non solo sul piano economico, ma anche e soprattutto sul piano sociale e, aggiungo, sociologico. Il reinserimento nel circuito lavorativo di chi ne è escluso consentirebbe di riallacciare il rapporto tra lo Stato, inteso come comunità di persone, e il cittadino. Questi riacquisterebbe il proprio ruolo nella società e sentirebbe di essere partecipe di un destino comune. La stabilità della democrazia postula proprio l’allargamento della base socio-economica attiva, sì che ciascuno senta di farne parte.
Il secondo pilastro di questo saggio mi pare consti nelle modalità di contrasto delle disuguaglianze, che già possono scorgersi da quanto finora osservato. L’autore propone un’interessantissima ricognizione storico-economica delle disuguaglianze. Il tema deve essere inquadrato nel rapporto tra l’economia capitalistica e lo Stato.
L’autore evidenzia come negli ultimi quarant’anni il modello economico neoliberista abbia goduto di amplissimi riconoscimenti. Questo modello affonda le proprie radici nelle teorie delle scuole economiche di Chicago e Vienna, di cui Friedman, Samuelson, Schumpeter, Lucas jr sono stati tra i principali fautori.
Il sostrato della teoria neoliberista consta nello Stato minimo, cui fa da contraltare la (smodata e utopistica) fiducia nelle capacità taumaturgiche del mercato e nella sua capacità di autoregolamentazione. Le tesi neoliberiste hanno valicato i confini dell’Accademia e hanno goduto di robusti sostegni politico-istituzionali. Il c.d. consesso di Washington (Banca Mondiale degli Investimenti, Fondo Monetario Internazionale e Federal Reserve) prefigurava fasti ineguagliabili, così come Margaret Thatcher e Ronald Reagan sono stati i pionieri politici di questo nuovo ordine economico mondiale. La globalizzazione dei mercati e l’economia capitalistica hanno consentito l’uscita dalla povertà e l’aumento del benessere su larga scala. Ma al contempo sono cresciute le diseguaglianze interne, anche nei paese sviluppati.
L’arretramento dei pubblici poteri e la compressione dello stato sociale (c.d. welfare state) hanno svolto un ruolo decisivo sullo sviluppo e sull’accentuazione delle disuguaglianze. La via maestra per ridurle consta nella crescita economica equa e sostenibile, che dovrebbe poggiarsi su una rivisitazione del modello capitalistico. La crescita economica e l’intervento equilibratore dello Stato paiono essere i pilastri argomentativi di un saggio illuminante e di strettissima attualità.
L’autore evidenzia che “nutrimento, riparo e cure mediche vanno assicurati a tutti i cittadini”. Mi permetto di aggiungere che sono necessari interventi decisi di ampliamento del diritto allo studio. L’energia del mercato e la forza del capitalismo, in cui rilevantissimi benefici sono innegabili, andrebbero, in conclusione, collocati in un contesto di maggiore sostenibilità. E lo Stato può e deve svolgere un ruolo equilibratore, per ampliare la base di partecipazione al nuovo ordine economico mondiale.
La ricerca di un’adeguata sintesi e di efficaci equilibri tra poteri privatistico-mercantili e pubblicistici potrebbe essere una nuova frontiera di studio negli anni a venire.
Daniele Gasbarro
Daniele Gasbarro è nato a Castel di Sangro (Aq) l’11 giugno 1988.
È laureato in economia e direzione delle imprese presso la Luiss Guido Carli di Roma. Ha proseguito gli studi con diversi corsi di specializzazione. Esercita la professione di dottore commercialista e revisore legale, nonché collabora con due cattedre universitarie. È appassionato lettore di saggistica.