Il pane perduto – Edith Bruck

Con ‘Il pane perduto’, già vincitore dell’ottava edizione del Premio Strega Giovani, Edith Bruck si è aggiudicata il terzo posto della classifica della LXXV edizione del Premio Strega. A sessant’anni dal suo primo libro Edith Bruck ripercorre la sua storia, ma non si limita a raccontare il dramma della Shoah che l’ha strappata all’infanzia, come mi
aspettavo. Il fulcro del libro è già nel titolo: il pane perduto è infatti il pane che sua madre Deborah aveva impastato con cura e messo a lievitare poco prima che i nazisti irrompessero in casa, nella primavera del 1944.

Edith e la famiglia vengono deportati dal piccolo villaggio ungherese in cui avevano già conosciuto la discriminazione antisemita. Resta nella mente della Edith tredicenne il ricordo della disperazione della madre per quel pane perduto e l’impotenza del padre di fronte alla mancanza di pietà da parte quei ‘corvi neri, armati, con sembianze umane’
che invadono il ghetto e caricano gli ebrei su un treno merci. Un lungo Esodo li aspetta, ma senza che ci sia un Mosè a guidare il popolo eletto.

Ultima di sei fratelli, Edith viene deportata ad Aushwitz e separata dalla famiglia, con la sola eccezione della sorella maggiore, Judit. Proprio l’essere in due salva le sorelle dal totale abbrutimento che invece tocca in sorte a molte delle persone internate nei campi di sterminio, costrette a lottare tra loro per sopravvivere – anche a costo di annientare i
propri compagni di sventura. Tra privazioni e costanti violenze da parte dei nazisti, Edith e Judit vengono trasferite a Dachau e poi a Bergen-Belsen, dove verranno liberate nell’aprile del 1945. L’incubo sembra finito: un nuovo capitolo si apre nella vita di Edith, ma il tentativo di inserirsi in una società che non la comprende si rivela fallimentare.

I genitori e un fratello minore non sono sopravvissuti, ma gli altri sì.

Il disagio di stare al mondo è costante, persino con la famiglia d’origine. Il nascente Stato d’Israele, dove prova a stabilirsi, è altrettanto inadatto ad accoglierla. La Palestina non è la terra dove scorre latte e miele, non è la favola della Terra Promessa che la madre le raccontava da bambina. È un posto che promette guerra più che pace. Il pane
perduto è perduto per sempre, e ad Edith non resta che tornare in Europa.

La frenetica ricerca di un luogo da chiamare casa prosegue fino all’approdo in Italia. È a Roma, dove tuttora risiede, che trova il suo posto nel mondo. Qui conosce Nelo Risi, il grande amore della sua vita, e inizia a scavare nel proprio passato, portando a compimento il suo bisogno di scrivere.

Non riesce a farlo in ungherese: le servono nuove parole per descrivere gli orrori che ha conosciuto. Qui, a Roma, riprende in mano la penna e inizia a scrivere in una lingua nuova: l’italiano.

Giulia R.

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